Le riforme dei Re cattolici furono finalizzate alla trasformazione della
Spagna in un moderno stato europeo, da conseguire attraverso l'accentramento del
potere nelle mani della Corona e il riassetto patrimoniale della stessa. A tale
logica accentratrice rispondeva anche il programma di omogeneit� culturale
voluto soprattutto da Ferdinando, che andava dall'incoraggiamento alla nobilt�
all'assunzione di precettori italiani (e la coppia reale diede l'esempio), alla
costruzione di edifici, specialmente religiosi, tra la fine del XV e i primi
decenni del XVI secolo.
Ferdinando fu il massimo artefice di tali opere edificatorie (lui stesso
era appassionato di architettura e si faceva sottoporre numerosi progetti), che
alimentava anche con la protezione degli ordini religiosi: i francescani, nella
sola Toledo, ricevettero ben sei monasteri.
Ma il riassetto del potere in Spagna riguardava anche il piano religioso:
le relazioni con Roma erano eccellenti, e presto i sovrani cattolici ricevettero
poteri che erano tradizionalmente affidati alla Chiesa.
Anche la Sardegna, che con i regni d'Aragona, Valencia e Catalogna
rimaneva sotto il potere della Corona d'Aragona, non fu estranea alle
innovazioni. Dal 1482, Ferdinando mise mano a un progetto di riforma delle
antiche diocesi isolane e, sebbene il patronato del re sulle chiese del regno
non fosse ancora esteso alla Sardegna, il sovrano avanz� proposte di nomina
alle sedi vescovili sarde. Qualche anno pi� tardi, nel 1493, chiedeva, inoltre,
di poter spostare in residenze pi� idonee i vescovadi che si trovavano in zone
disagiate o spopolate. Spostamenti che riguardarono anche Cagliari, che incorpor�
nel 1495 il vescovado di Dolia, che fu soppresso, e quello di Solci, trasferito
l'anno prima a Iglesias. La
chiesa di San Francesco di Iglesias
Una delle maggiori difficolt�, nello stabilire una datazione certa per
l'inizio della costruzione della chiesa, riguarda l'assenza di materiale
documentario relativo all'arrivo dei francescani nella citt�. Allo stato
attuale si possono formulare tre ipotesi: la prima la vuole costruita su
precedenti strutture di pertinenza benedettina (G. Spano, 1868); la seconda,
fondata tra il 1324 e il 1330 in seguito all'arrivo, durante la dominazione
spagnola, dei frati minori conventuali (C. M. Devilla, 1958); recentemente,
infine, si � ipotizzata una presenza di frati francescani nella citt� gi� dal
1230, e che nel 1326 Giacomo II d'Aragona desse il benestare alla fondazione ad
opera dei francescani catalani.
La ristrutturazione, in ogni modo, � collocabile con certezza nel XVI
secolo, anche se le date incise all'interno della chiesa mettono in evidenza che
i lavori dovettero essere interrotti e ripresi pi� volte. Una prima data
compare in alto a sinistra, guardando il presbiterio (1523); in un'altra
epigrafe, incisa nel lato destro della navata, sul quinto capitello, e
nell'acquasantiera compare la data 1558; nelle cappelle ai lati del presbiterio
compare la data 1584.
La struttura della chiesa ha uno schema rettangolare mononavato. Tale
schema, sostiene Lavedan, si � sviluppato autonomamente in Catalogna, giungendo
a perfezione formale intorno alla met� del XIII secolo. Le sue caratteristiche
sono un'unica navata ad ampio vano rettangolare, scandita da contrafforti, tra i
quali, nella parte inferiore, � possibile ricavare delle piccole cappelle. Nel
periodo aragonese, in Sardegna, questa � l'unica tipologia utilizzata, non
esistendo strutture trinavate. Lo schema proposto dal Lavedan vede sempre
l'utilizzo di absidi quadrangolari o poligonali pi� strette dell'aula
rettangolare. Ma egli considerava la perimetrazione dell'aula comprendendovi le
cappelle, visto che nelle chiese spagnole l'abside �, solitamente, della stessa
ampiezza e altezza della navata. In Sardegna, al contrario, l'abside �, in
genere, pi� stretta e pi� bassa della navata (con alcune illustri eccezioni
come la chiesa di San Francesco di Alghero, pi� conforme al modello, dove la
zona absidale comprende coro e presbiterio, creando quei giochi di luce tipici
delle chiese aragonesi). In questa maniera si ottiene una decisa
differenziazione tra lo spazio della navata e quello del presbiterio, accentuata
dal fatto che quest'ultimo rimane in una zona d'ombra che segue l'illuminazione
accentuata del coro. Forse tali diversit� sono attribuibili al permanere,
nell'isola, del gusto romanico che aveva determinato l'amore per delle zone
d'ombra; ma anche l'insegnamento del gotico centro-italiano dovette avere un suo
ruolo. Tale schema differenziato si applic� in Sardegna gi� dalle prime
costruzioni della dominazione aragonese, come nel Santuario di Bonaria (1324 -
1326), iniziato quando era ancora in corso l'assedio di Cagliari.
Della trecentesca struttura precedente rimangono alcune tracce evidenti:
una monofora in cotto sopra la settima cappella a sinistra (messa in evidenza
dopo i recenti restauri del 1989 - 1992) e, soprattutto, la terza cappella a
sinistra, che si differenzia totalmente dalle altre: vi si accede attraverso un
arco pi� piccolo, sostenuto da semplici pilasti a sezione quadrangolare. La sua
copertura, anch'essa costituita da una volta a crociera, � pi� bassa e
intonacata.
La navata � pi� bassa di quanto l'ampiezza suggerirebbe, come nella
chiesa di San Giorgio di Perfugas, in una tipologia comune nella versione sarda
delle chiese gotico catalane. In una prima fase del restauro, inoltre, si
dovette costruire un impianto ancora pi� basso, come dimostrebbe anche la
differenza di materiali utilizzati nel paramento dove si inserisce il
presbiterio, con i conci in trachite nella parte inferiore, e il muro intonacato
nell'estremit� superiore, nel quale trova alloggio un oculo che contribuisce
all'illuminazione del coro. A questa successiva fase costruttiva si dovrebbero
datare anche i grandi archi diaframma a sesto acuto. Nella
navata, ai lati degli archi che danno accesso alle cappelle, sono una serie di
scudi araldici scolpiti. Nella prima cappella a sinistra del presbiterio, �
raffigurato uno scudo diviso in quattro. I primi due riquadri sono poco
leggibili, mentre negli altri � raffigurata una mano che tiene un albero
diradicato. Ai lati dello scudo � inciso il numero 15, mentre nella cappella
corrispondente del lato destro, che reca lo stesso simbolo, � il numero 84.
Nei capitelli del secondo e terzo pilastro, proseguendo in questo
itinerario, sono scolpiti scudi con i quattro pali d'Aragona, ma con un disco
sovrapposto. Lo stesso stemma compare sullo stipite sinistro del portale
d'ingresso di nord-ovest nel Castello di Salvaterra, sempre presso Iglesias.
Sul quarto pilastro, sempre a sinistra, compare la rappresentazione di
due braccia incrociate:
un braccio � nudo e l'altro vestito, simbolo tradizionale dei
francescani.
I capitelli delle colonne che danno accesso alle cappelle sono molto
simili tra loro, a eccezione della terza di sinistra, che, come detto, � di
costruzione antecedente alle altre e molto semplificata anche nelle decorazioni,
e di quelli della sesta e settima cappella di sinistra, poggianti su
semicolonne, che presentano una decorazione pi� complessa di motivi fitoformi
intrecciati.
Ultimo elemento da prendere in considerazione nella navata � il plinto
di colonna su cui poggia il pilastro tra la quarta e la quinta cappella,
differente per forma e materiale da tutti gli altri.
I capitelli delle colonne che reggono il grande arco, cos� come i
peducci all'interno dell'abside, sono in tufo chiaro, di chiara sensibilit�
gotico catalana: sono molto simili a quelli, certamente di fattura pi�
accurata, della chiesa di San Francesco di Alghero, dove le maestranze dovevano
avere una maggiore pratica dei repertori catalani, forse per una loro formazione
proprio nelle fabbriche iberiche.
La copertura dell'abside � uguale a quella della cappella del
crocifisso, che si differenzia da tutte le altre: in essa la base quadrata si
raccorda con una volta semipoligonale a sei lati mediante voltine a tre vele,
comuni a molti edifici catalani precedenti, come la trecentesca cappella del
palazzo episcopale di Tolosa, o quella del Santissimo nella cattedrale di
Barcellona, costruita da Arnau Bargu�s tra il 1405 e il 1415. Una soluzione
simile aveva adottato anche Guillem Sagrera, nel 1453 - 1457, nella copertura
della napoletana Sala dei Baroni di Castel Nuovo, dove passava dal quadrato
all'ottagono mediante le stesse voltine triangolari.
Le rimanenti cappelle hanno una copertura con volta a crociera
costolonata e gemmata. Le gemme pendule presentano una decorazione che rimanda
alla cultura italiana, ma, questa volta, di ispirazione rinascimentale. Unica
eccezione � la seconda cappella di destra, con copertura lignea.
All'esterno la facciata ha forma a capanna semplificata, appena
movimentata dal portale archiacuto, impostato su esili colonnine, che presenta
molte affinit� con quello della facciata di San Pietro di Assemini, con l'unica
differenza che in quest'ultimo � maggiormente evidente la strombatura. Un
rosone e due oculi, tutti leggermente strombati, sono l'unica decorazione della
facciata. Alcune affinit� sono riscontrabili con la facciata di San Giorgio di
Perfugas: nel materiale utilizzato, la trachite rossa, e nella presenza di due
oculi, laterali al rosone centrale, anche se in posizioni differenti. Ma ad
Iglesias la facciata ha un'ampiezza maggiore, comprendendo anche le cappelle,
mentre nella chiesa di San Giorgio rimangono esterne.
Il
Retablo di San Francesco Il
Retablo di San Francesco, ora custodito nella Pinacoteca nazionale
di Cagliari e attualmente in fase di restauro, proviene dalla chiesa di San
Francesco di Iglesias, dove era la pala dell'altare maggiore. � un doppio
trittico a tempera e olio su tavola, con predella a cinque scomparti con questo
schema iconografico:
L'opera � attribuita ad Antioco Mainas, pittore che si form� nella
bottega di Stampace, e databile tra il 1537 e il 1571. Una datazione cos�
approssimativa dipende da diversi fattori: il primo riguarda il suo autore.
Antioco Mainas, fino al 1937, era noto solo da alcune menzioni che comparivano
su qualche documento, ma non era stato possibile individuare nessuna sua opera.
Poi, in quell'anno, fu ritrovato un documento datato 1564-65, in cui il pittore
si impegnava a dipingere il Retablo dei
Consiglieri di Oristano e, partendo da quest'opera, � stato possibile
attribuirgli numerosi dipinti, soprattutto retabli tardo gotici di grandi
dimensioni.
Altro elemento di difficolt� riguarda, per cos� dire, lo stile del
pittore, e della stessa scuola stampacina, improntato verso una pittura popolare, per venire incontro alle esigenze di una committenza non
troppo colta e certamente poco esigente, che richiedeva una semplificazione dei
temi trattati. Questa tendenza popolare
ebbe enorme successo in Sardegna, al punto di influenzare la pittura isolana
fino al XVII e XVIII secolo. � un tipo di pittura, questo, che unito alla
assoluta scarsezza di materiale documentario, rende difficile il lavoro dello
storico. Il Mainas, inoltre, appare come il pittore stampacino pi� orientato
verso questa tendenza: non a caso la sua committenza era prevalentemente
paesana, che maggiormente apprezzava la sua spontaneit�, l'utilizzo di colori
forti e squillanti, e la tendenza al decorativismo che, sdrammatizzando le scene
sacre, le rendeva pi� leggibili. Tuttavia, nonostante queste peculiarit�, il
pittore appare come totalmente dipendente da Pietro e da Michele Cavaro: il
primo fu il suo tramite per la cultura ispano italica e gotico rinascimentale;
dal secondo prese l'accentuato verticalismo delle figure, l'utilizzo della linea
in maniera incisiva e gli spunti manieristi, che utilizza con assoluta libert�.
Il Retablo di San Francesco
contiene alcuni insoliti aspetti iconografici: al centro della predella � la Resurrezione,
dove Cristo � sollevato da terra dal manto rigonfio, ed emana un'intensa luce
che spaventa un soldato posto a guardia del sepolcro. Iconografia che ritorna
anche nella predella di Nostra Signora di
Valverde, dove la figura di Cristo � pressoch� identica a questa. Sono
immagini na�f che assumono un carattere di vera e propria firma delle opere del
Mainas.
In alto, la Crocifissione si
distingue da altre dello stesso autore (da quella di Pirri, dal Retablo di Lunamatrona, ecc.) per l'assoluta semplificazione della
composizione: mancano i ladroni, le ploranti, le guardie e i giudei, e il tutto
sembra preludere alle opere del Maestro di Ozieri e dei suoi seguaci. Per il
resto presenta molti elementi in comune con il Retablo di Lunamatrona, per lo stagliarsi delle figure sullo sfondo
color terra delle rocce che, in entrambi i casi, si aprono dietro la croce
lasciando intravedere una citt� fortificata. La figura di Cristo, con le gambe
piegate ad angolo acuto e il perizoma annodato a destra, prende come modello il Crocefisso
di Nicodemo di Oristano, tramite la mediazione del Crocefisso,
oggi conservato presso il Palazzo di Giustizia di Cagliari, che fu,
probabilmente, il primo a rifarsi all'esempio oristanese. Sono anche evidenti
dei riferimenti alla pittura nordica, che il Mainas dovette apprendere nella
bottega stampacina. Pietro Cavaro, infatti, aveva fare il proprio apprendistato
a Valencia e Barcellona (il che dimostra la condizione agiata della sua famiglia
e la situazione florida della bottega), dove aveva potuto studiare tale pittura
e, successivamente, portarne i modi in Sardegna.
La Lapidazione di Santo Stefano
riprende la figura del santo dipinta da Francesco Francia e conservata a Roma
alla Galleria Borghese. Sant'Orsola,
in alto a sinistra, � una figura maestosa che, seduta, sovrasta in altezza le
vergini in piedi che le stanno accanto.
Anche i riferimenti alla cultura rinascimentale italiana, Mainas li
prende da Pietro Cavaro, il quale sembra semplificare il linguaggio raffaellesco
analogamente a quanto faceva, in Spagna, Paolo da San Leocadio. A questo
proposito Antonino Caleca ipotizza anche un possibile viaggio di Pietro a
Napoli, non documentato, dove avrebbe potuto forse vedere le opere di Andrea da
Salerno, che attuava un'analoga semplificazione dei temi raffaelleschi |
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