Racconti
di Filippo Jacazio

  Il pericolo è il mio mestiere
Fantasmi
Caduta libera
La gondola
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IL PERICOLO E’ IL MIO MESTIERE

Scena buia: ad un tratto, un fascio di luce diretto su un quadretto appeso alla  
parete, sul fondo; è un motto, c’è scritto, in grande,”Il Pericolo è il Mio Mestiere”. Musica in sottofondo, che crea un’ atmosfera, altrimenti non si riuscirebbe a respirare: aerobismo dodecafonico, con qualche boccata tekno. 
Comunque c’è un’ aria (per forza) di tensione, suspence, attesa, di fronte alla 
parola che di tutte le paure suscita la più vecchia. Vecchia la fava! 
Per piacere! Altri faretti illuminano, ad una ad una, numerose cornici, che 
racchiudono e mostrano fotografie, articoli di giornale, scene di guerriglia,  
sommosse quindi un po’ sfocate, rivolte, azioni antiterrorismo, e poi avventure 
inseguite da soli, lanci con il paracadute, lanci senza (uno solo, tragico errore 
da un letto a castello), scalate senza corda, senza chiodi e SENZA 
MONTAGNA! Corse in macchina, voli in deltaplano, safari, battute di caccia 
grossa ma di fine umorismo, e mille altri episodi... 
In tutte le immagini un solo protagonista, un solo eroe, ed una impressione di 
compiacimento, di sfida. 
Altro faro: luce su una scarpa...no, no, un po’ più su, più a sinistra, ecco, 
allargare. Si vede una scrivania, dietro la quale è seduto un uomo dai lineamenti 
decisi, lo sguardo duro, il cipiglio turgido: l’ incarnazione della grinta e del 
coraggio. Naturalmente è lo stesso che appare nelle foto, lo stesso di cui parlano gli articoli. L’ uomo che tutti conoscono, ammirano ed invidiano, di cui 
raccontano le mirabolanti imprese. 
Voce fuori campo, sembra quella di un cronista:”Con profonda abnegazione e 
sprezzo del pericolo difendeva la postazione assediata dal nemico, e cedeva solo 
dopo essere stato gravemente ferito...Durante una sparatoria salvava, a rischio 
della propria, la vita di un ragazzo preso in ostaggio dai criminali offrendosi di prendere il suo posto...Uno dei primi temerari a lanciarsi con il paradadute  
dall’ Empire State Building...”. E ancora altri episodi. 
Ricordi di una vita spremuta fino all’ ultima goccia, sempre in corsa sul filo 
del rasoio, una mutilazione raccapriccinte o un rasoio assolutamente inutile, con 
l’ irreparabile pronto a ghermirlo alla minima esitazione. 
Una determinazione inscalfibile emana da quell’ uomo, un animo ed una tempra inossidabili, un profondo controllo di sè stesso, e un’ immensa sete di emozioni 
violente, grandi, e di altrettanto grandi soddisfazioni. 
Cambio di luci, la scena si tinge di rosso, la musica tace. 
Un dubbio si insinua nella mente degli spettatori(per forza, altrimenti la storia non può andare avanti): che cosa si può nascondere, che cuore può battere in un 
essere così limpido, così inevitabilmente schietto, nobile, esemplare? 
Quali possono essere gli scheletri nascosti nel suo armadio, che tra l’ altro sono un’ idea geniale perchè si rivelano dei comodissimi appendiabiti? 
Lo può sapere solo chi non lo conosce, o chi ha già visto il suo armadio, chi 
per la prima volta incrocia il suo sguardo, non gli da’ la precedenza e quindi lo 
centra in pieno, riuscendo a scrutare dietro e dentro i suoi occhi, tra sinapsi, 
stipsi e pepsi. 
Vi vedrà scorrere le stesse immagini che da sempre lo accompagnano e lo  
rappresentano, sarà assalito dalla potenza del suo carisma, ma avrà l’ impressione di fronteggiare un fantasma che difende una potra ormai aperta. 
Dietro potrà scorgere la verità, percepirà l’ ansia, il fremito di un uomo in trappola, condannato da sè stesso a correre per non doversi guardare intorno, 
inseguito da demoni di stabilità, tranquillità, pace, braccato dallo spettro della sua stessa umanità! 
Quella luce nei suoi occhi avrà allora il sapore di un attacco al limite della codardia, di una fuga temeraria, e dentro di lui riaffioreranno allora le immagini, 
i ricordi: prima una voce, melodiosa e carezzevole come un lenzuolo di seta, poi 
due occhi del colore della cioccolata ed altrettanto dolci, infine un nome: 
Rosmunda! Oh beh, che volete? no, dico, già la voce, gli occhi, e chi è, la Madonna? Comunque: riproverà gli spasimi di una felicità ingabbiata, ripecorrerà il tempo in cui poteva liberarla, in cui riusciva a sentire dentro di sè 
il potere senza doverlo rincorrere. Ricordi di una gioia che è un sogno per tutti, 
un incubo per lui;ricordi che si fermano dolorosamente, nonostante gli inutili 
tentativi di annegarli nell’ adrenalina, alla sua sfida più grande, più paralizzante, 
alla sua più cocente sconfitta... 
Fino a un addio detto per paura di fermarsi ad amare! 
E nei suoi occhi la luce si affievolisce. 
Non sono capace di essre un uomo, sarò un mito... 
Buio in scena, applausi.

    FANTASMI

Non sono mai stato un bevitore abituale, ma ormai è più di un mese che tutte le sere vengo qui, in questo “Bar Letizia”, e non ne esco finché non ho buttato giù quattro o cinque cicchetti, che sono poi l’equivalente di tutto quello che ho in tasca a fine giornata. Certo, forse sarebbe meglio risparmiarli, tentare di metterli da parte, ma ormai non sono neanche più sicuro che ne valga la pena, di salvare quei due o tre biglietti. E come me, tutti i miei compagni di bevute. 
Vedete, io sono un ex-detenuto, o meglio, come dice la gente, un ex-delinquente. Sono stato in carcere per tentato omicidio, ma non è stato, come si dice di solito, un errore giudiziario. Io la volevo proprio uccidere, quella stronza, ma non ci sono riuscito; erano due mesi che mi metteva le più classiche delle corna con il mio migliore amico (anche lui ormai ex-migliore amico): è che mi hanno beccato subito, altrimenti dopo la mia dolce metà avrei fatto una visita anche a lui. 
Ma è stata fortunata, che i vicini hanno sentito le urla e lo sparo. Ah, beh, loro due naturalmente ora hanno cambiato aria insieme! Ma questa è già storia vecchia, io sono uscito da quasi due anni, in galera mi sono comportato bene e mi hanno accorciato la pena: non puoi non comportarti bene, lì dentro, se vuoi continuare a camminare con le tue gambe, quindi secondo lo Stato mi sono “riabilitato”. Balle!, secondo la gente no, per loro sono rimasto lo stesso bastardo assassino di cui ha parlato il TG mentre loro erano a tavola, e forse mi accusano di avergli fatto andare di traverso il pranzo. Beh, mi dispiace, lo giuro! 
E siccome è in mezzo a loro che devo, o perlomeno lo vorrei, vivere, provate un po’ ad immaginare cosa mi sono sentito rispondere, quando ho cominciato a cercarmi un lavoro: niente di eccezionale, qualcosa per sopravvivere. Beh, erano tutti convinti che fossi venuto lì appositamente per ammazzarli, stuprare la loro moglie e l’eventuale figlia, picchiare i bambini e poi rubare tutto quello che possiedono. Ho avuto un bel dire che avevo già scontato la mia pena, che non chiedevo di entrare in casa loro, che mi bastava un posto come operaio, come autista, come giardiniere (dimenticavo; sono laureato in Economia, ma questo il TG non l’ha mai detto). 
Niente da fare: “io la conosco, la gente come te (già, passano subito al tu, anche se non ti hanno mai visto), avanzi di galera che aspettano solo che gli si voltino le spalle...”, insomma, la solita solfa che vi risparmio. Credevo che succedesse solo in TV! 
Ho dovuto arrangiarmi: lavori saltuari in nero, qualche scommessa andata bene, prestiti da strozzini (l’ultima cosa che ho impegnato sono stati i miei occhiali con la montatura d’oro, ricordo di quand’ero ancora una brava persona).  
Ma piano piano va a fondo, cominci a sparire per il mondo ed un po’ anche per te stesso: all’inizio, dato che non ti rimane altro è il tuo orgoglio ferito che si fa’ sentire, e la tua dignità di uomo, contro i soprusi della società: ma prima o poi finiscono anche quelli, ed allora provi ad illuderti di ritrovarli, annegati in quattro dita d’alcool. Solo che a quel punto non sei già più nessuno. 
Lo stesso, più o meno, vale per i miei allegri compagni. Io sono stato l’ultimo ad arrivare qui, a spingere la porta sotto l’insegna verde, e comincio a pensare che sia stata una strada obbligata, prima o poi ci sarei finito, in questa compagnia. 
C’è il nonno, il nostro patriarca, mendicante ormai non sa più nemmeno lui da quanti anni: lavorava all’ippodromo, era quasi naturale che cominciasse a scommettere: un grave errore, e con un po’ di sfortuna e con l’aiuto dei nostri amici usurai, ha perso tutto in meno di un anno: ah, ma dovreste sentire le sue storie sui cavalli, sono sempre esaltanti. Almeno, quando non ha ancora bevuto abbastanza da perdere l’uso della parola. Era sposato, anche lui: la prima cosa che ha perso è stata la moglie, la seconda, la dignità. 
Poi c’è Suor Maria: non conosco il suo vero nome, la chiamiamo così perché non si sono mai sentite bestemmie così esilaranti come quelle che lancia quando è di cattivo umore: cioè praticamente sempre. E’ la nostra madre spirituale, anche se sarebbe più giusto dire “sotto spirito”: è un’alcolista per vocazione, la sua prima poppata deve averla data da un biberon pieno di gin, o da una madre ubriaca. Da giovane era bella (forse è in memoria di questo che ogni tanto fa felice qualcuno di noi, se è in buona), e quando era sobria ha fatto anche la modella: mai una copertina, certo, ma era brava: è stato più bravo il suo fotografo che l’ha fatta bere, si è divertito, ed il giorno dopo il suo posto davanti all’obiettivo era occupato da un’altra. Non si è neanche diplomata: provate un po’ ad indovinare che lavoro fa, per pagarsi le sbronze. 
Avete mai visto il film “Mary per sempre”? Beh, noi abbiamo qui la copia carbone del protagonista, solo che il nostro è anche tossicomane. E’ il più giovane degli allegri compagni della bottiglia, ma è qui da prima di me. Lo chiamano “Sugar”, ma non credo che sia perché è un tipo dolce. Io non ci parlo quasi mai, mi ricorda un po’ mia moglie (ex, pardon!). I suoi l’hanno cacciato di casa, quando una sera che sono rientrati prima del solito l’hanno trovato con una canna in mano ed un compagno di scuola fra le braccia (e non solo quelle). All’epoca aveva diciott’anni e tre mesi. Lui ci tiene, a quei tre mesi, dice che rappresentano la sua indipendenza. Bah! Io al suo posto mi sarei gettato ai piedi di mio padre e gli avrei baciato le scarpe! 
Ma siamo in tanti, qui, a tenerci compagnia: c’è Max, un ex giocatore di calci a cui dei teppisti hanno rotto entrambi i piedi giusto tre anni fa; ieri ha festeggiato con una sbornia tale che hanno dovuto portarlo al pronto soccorso. C’è Lisa, giovane pittrice incompresa, da tutti subito ribattezzata “Monna Lisa”, che dopo una sua prima , piccola mostra ha perso l’ispirazione ed ora fa ritratti ai turisti nelle piazze. E poi c’è Dado, il barista, il nostro benefattore, l’unico fra noi che abbia un lavoro, una casa ed un futuro. Forse, sarà perché gli siamo simpatici, ma non c’è sera che prima di chiudere non si unisca a noi nei nostri comizi, con una bottiglia piena. 
Già, perché noi, quasi settimanalmente, raggiungiamo un punto di saturazione alcolica così alto che siamo quasi convinti di essere ancora vivi e degni del nome di UOMINI: allora ci sediamo attorno ad un tavolo, ci ricordiamo della nostra situazione e di come siamo arrivati qui, ed invariabilmente dal nostro pulpito di umana sofferenza lanciamo anatemi contro la società che con le sue regole, la sua avidità e la sua ipocrisia ci spreme, mastica e poi ci sputa via dimenticandosi di noi profeti della miseria, costringendoci a diventare degli avanzi di umanità, delle ombre. Anche se ogni tanto ci si riesce a vedere, noi in effetti non esistiamo, siamo dei fantasmi, solo che noi non facciamo nemmeno paura, se non per quello che forse abbiamo l’onore di rappresentare. Mi viene quasi da ridere se penso che ci ritroviamo tutti in un posto che si chiama “Letizia”! La vita fa strani scherzi, a volte di pessimo gusto, ma credo che per nulla al mondo vorremmo che Dado cambiasse il nome del bar: uno scherzo del destino è la cosa che meglio ci rappresenta. 
Beh, se volete, venite pure a trovarci, per bere qualcosa insieme: il Bar Letizia è sempre aperto! 
Ma ricordate, c’è una condizione: se volete vederci, dovete essere anche voi dei fantasmi, senza nient’altro che qualche lira per un bicchierino, ed una vita di merda! Alla salute! 
 

CADUTA LIBERA

Sono solo con me stesso, con le mie decisioni, solo e libero come non lo sono mai stato prima: leggero, forse, senza più ancoraggi, zavorre, solo con l’ultima palla al piede di cui ora, finalmente, posso liberarmi. Così chiudo gli occhi, e mi ritrovo sull’orlo dell’abisso, vuoto, immobile, come un sogno che non è ancora iniziato. Sono dentro di me, mi riconosco appena il mio buio comincia a riempirsi di quello che sono, e sono stato, e avrei voluto essere... 
Ma non sono solo ricordi, stavolta sono lì per dirmi qualcosa, chiamano, ma la loro voce la sento appena, sono immagini ancora troppo lontane. Io sono qui per loro, mi sembra di ricordare, non loro per me, mi devo avvicinare, immergermi in loro, nel profondo. 
E allora spicco il volo, esse mi investono con tutta la loro immobile, silenziosa forza espressiva. E’ strano, è magnifico potercisi muovere in mezzo liberamente, attraversandole una dopo l’altra senza di nuovo dover sottostare alla loro logica, senza doverle rivivere, come un regista che dopo l’ultimo metro di pellicola rilegge la sceneggiatura, e sa di esserne ormai completamente il padrone. Io mi lascio andare, trasportato verso un’unica direzione, la stessa che ho preso giorno dopo giorno. Rivedo tutto, ma è tutto diverso... 
Avevo ragione, non sono solo ricordi, hanno un significato, hanno uno scopo, e in balìa della mia coscienza ci sfreccio attraverso, come fossero le pagine del mio diario, scritto da qualcun altro: mio padre che mi insegna a giocare al pallone, mi regala le scarpette, mia madre che la Domenica viene a trovarci, la scuola, gli esami, le lezioni noiose con il pensiero al campetto sulla strada di casa, il trasloco in città, l’ultima partita prima dell’università, in cui perdo il calcio ma trovo lei la mia unica ragazza, mia moglie, la madre dei miei figli, poi finalmente il lavoro, la stabilità, i regali, i viaggi, le gite nel fine settimana, la macchina nuova, il bar con gli amici il venerdì sera, la sbronza, io che ubriaco faccio proposte all’unica donna dell’ufficio, lei che ci sta... poi un salto di anni, e dopo tutto ha un colore diverso, i sensi di colpa, il lavoro perso, il bar tutte le sere anche da solo, le liti, la partenza di moglie e figli, tutto sempre più veloce. Ormai è un turbinio, sono una meteora che ha incendiato tutto quello che ha visto. Sento anche un telefono che squilla nel buio, ma sono così veloce che rimangono solo alcune parole sconnesse, “ Autostrada, camion, incidente, mi hanno detto che lei era il...” 
Sotto tutto questo, molto più lento di me, c’è un suono che non mi lascia ancora, non vedo ancora il fondo dell’abisso, non so cosa ci sarà, ma il suono mi accompagna come una guida, mi parla, trasforma le immagini in sensazioni, e le sensazioni in pensieri...di tutto quello che ho visto mi posso liberare, è il messaggio, di tutto questo mi sono liberato, ci siamo solo io e la mia velocità, ho lasciato tutto il resto indietro, ora il diario è finito, posso rallentare, tirare il fiato, guardarmi intorno e godere della mia libertà, della MIA realtà, quella che ho scelto io, posso vedere chi sono e cosa faccio.  
Ho di nuovo un peso, una forza che mi spinge, posso quasi sentire l’aria che mi fischia sulle orecchie mentre mi avvicino, il volo sta per finire... 
E riapro gli occhi: c’è davvero una realtà, mi dico un po’ malinconico, disincantato, ma sembra essere lei a venirmi incontro, anzi addosso; sempre più grande, più definita, inesorabile, è la stessa che ho lasciato chiudendo gli occhi e spiccando il salto, 21 piani più su: il suono, quello c’è sempre diventa un urlo, una sirena assordante... 
Non c’è più nessuna illusione, 
E’ rimasto solo il tempo per lo schianto.                       
 

 LA GONDOLA

Beh, vedete ragazzi, io ho comprato un letto, qualche tempo fa: cioè...un letto...si, indubbiamente è un letto, su questo non ci piove, ma diciamo che è quantomeno...particolare! Dunque, a vederlo così, all’ improvviso, puo' sembrare... 
..come dire...un...coso, si un...no, perchè ha...sotto, come delle zampe, ma NON proprio zampe, piuttosto...perchè poi, sopra, dove si dorme, ricorda più un... 
Oh beh, insomma, descriverlo non si può, non certo usando le immagini alle quali normalmente si ricorre per un letto, per quanto stravagante possa essere il gusto degli arredatori moderni, voglio dire, oggi ti piazzano al centro del salotto buono, che fra l’altro non esiste più, anche una pompa di benzina perfettamente funzionante! 
Fatto sta che il mio...si, insomma...letto, l’ho trovato inuna di quelle gallerie d’arte alternative, sapete, no, gestite da gente che va a frugare dagli sfasciacarrozze o nei depositi di rifiuti e così via, raccattando il materiale più deforme per poi vendertelo candidamente come arte “grunge”, e appena l’ho visto mi ha fatto pensare ad una gondola con quattro pattini da ghiaccio, una specie di incrocio fra una slitta ed  una piroga, oltre che ad un attacco di meningite fulminante... 
Beh, l’ho visto e mi ha ipnotizzato: anzi, ogni tanto penso che sia stato lui a trovare me, perchè in qualche modo doveva essere “destinato” a me, era lì che mi chiamava, voleva essere solo mio, ed io...beh, come potevo resistere? Capite, sono un patito degli oggetti strani, provenienti magari da angoli sperduti del mondo, che a guardarli con un po’ di attenzione hanno sempre qualcosa da raccontare, quasi avessero un’anima, come una lampada di Aladino. 
Perchè sapete. da sempre il mio grande sogno è stato quello di viaggiare, raggiungere ogni recondito fazzoletto di terra del pianeta, ma non proprio in veste di turista a tempo pieno, svagato e sempre distaccato dalla realtà che osserva: io vorrei essere più come un esploratore, come quelli dei libri d’avventura che leggevo da bambino, o quelli che si studiano a scuola: Vasco De Gama, Magellano, Colombo, il dottor Livingstone, Smith, Ambrogio Fogar, Armaduk! Però, a parte la mia mania per le vacanze itineranti (mi ricordo 5 anni fa a Kuala Lumpur, ho passato una settimana d’inferno in preda ai tormenti della febbre gialla, ed un finto stregone, medico specializzato in tossicologia...ma sto divagando!), dicevo, a parte questo il mio è rimasto un bel sogno, ed allora mi rifaccio collezionando oggetti che vengono da un po’ ovunque, come fossero trofei o ricordi di viaggio, e qualche volta ci costruisco sopra delle storie, per renderli più vivi nella mia immaginazione e raccontare qualcosa agli amici... 
Potete quindi ben capire perchè non potessi assolutamente farmi scappare quella meraviglia (dal punto di vista della originalità, s’intende), che con un po’ di lavoro di fantasia poteva diventare che so, l’Alcova Sacra del capoclan degli Arawak del Suriname, o un altare sacrificale dei Boscimani del Kalahari. E in effetti, magari veniva davvero da un paese lontano: ormai ero in suo potere! 
Inevitablmente, sono entrato e l’ho comprato! Ci ho speso uno stipendio, perchè quella sanguisuga hippy, sicuramente drogato, s’è inventato che era l’opera postuma del fratello minore sconosciuto e pazzo di Anton Gaudì, come se lui invece fosse normale: ma non l’ho nemmeno ascoltato, lo volevo e basta, ero irrimediabilmente attratto da quel...  
quello lì! Beh, quando me l’hanno portato non stavo più nella pelle! Ho buttato via il mio vecchio divano-letto sgangherato, e ho fatto sistemare quello nuovo in camera mia, al centro della stanza, in piena luce. L’ho pulito, lucidato, e l’ho anche munito di un bellissimo copriletto tibetano che puzzava ancora di Lama quando l’ho comprato, e poi mi sono seduto in poltrona a coccolarlo con gli occhi, fantasticando sulle sue origini, smanioso di collaudarlo. Cominciavo a considerarlo bellissimo, completamente nero com’era. Aveva quell’aria arcana, misteriosa, che hanno tutti i cosiddetti “cimeli” ma nonostante tutto, forse per la sua forma così slanciata, quasi aerodinamica, per la sua perfetta levigatezza e la lucentezza che gli avevo fatto acquistare con un’ora di lavoro, non lo si sarebbe detto un oggetto antico, o comunque primitivo e rozzo. Per quanto cercassi, non mi riusciva di trovarci la minima imperfezione. Tutto ciò mi intrigava, e solo a tarda notte l’ho provato, sprofondando subito nei miei sogni di viaggi al fianco di questo o quell’avventuriero... 
Mi ha svegliato una strana sensazione di movimento, d’instabilità: sulle prime ho pensato che qualche ladro grossista si stesse fregando il letto con me sopra, ed ho sorriso fra me e me. Ma ormai ero sveglio, mi sono girato su un fianco ed ho aperto gli occhi. Quello che ho visto per poco non mi ha fatto venire un colpo! Non era possibile, semplicemente assurdo! Stavo ancora sognando, certo, ma tu guarda se un poveraccio si deve prendere certi spaventi...Poi invece ho realizzato di essere sveglio, e tutto quello che vedevo era incredibile, ma vero! 
Non stavo più nella mia stanza! Ero in uno stanzone lungo e stretto, quasi completamente buio, percorso da pali di legno che sembravano sostenere il soffitto, e a questi erano fissate decine di amache, su una delle quali mi trovavo io! 
Pazzesco, stavo su di una nave, tutta di legno! La stanza era ancora piena: alcuni dormivano, molti erano seduti sulla amaca, gli altri erano già in piedi e si infilavano freneticamente...degli stivaloni di cuoio che gli arrivavano alle ginocchia. 
Esterrefatto, li ho osservati: sembrava una commedia in costume: avevano tutti dei camiciotti di cotone bianco,strani pantalonacci variopinti ed un fazzoletto in testa...ed io ero vestito esattamente come loro! Pensavo di impazzire, ed in quel momento mi è arrivata alle orecchie una voce che gridava: “Sveglia! tutti in coperta! Mare in burrasca!”. 
Tutta la ciurma si è precipitata fuori, e io li ho seguiti divorato dalla curiosità e dall’eccitazione che cominciava a prendermi! era ancora notte fonda, ma fra lampi e lanterne sono riuscito a capire dove mi trovavo: ero su una nave antica, una caravella, una goletta o che so ioBeh, comunque non ho avuto il tempo di stare a stupirmi, perchè un energumeno ( che poi ho scoperto chiamarsi Nostromo, come il tonno) mi ha subito trascinato a “chiudere i boccaporti”, come diceva lui, poi non mi ha più fatto fermare un attimo! Ragazzi, che notte! Una tempesta ci ha costretti a lavorare come ossessi, non abbiamo dormito un minuto, fra vle da ammainare, cime da assicurare, barili e sacchi da mettere al coperto. Ad un certo punto dal ponte di poppa è uscito un uomo. bassotto, brizzolato, la faccia rubiconda, e sono rimasto di stucco quando l’ho sentito imprecare in italiano! Già, perchè dimenticavo, tutti gli altri parlavano una lingua che pareva spagnolo, ed io li capivo benissimo! 
Solo al mattino, avvicinandomi al timone, ho visto una targa che portava inciso il nome della nave: ”SANTA MARIA”! 
Gesù, dov’ero finito! Quello...quello era Colombo, uno dei miei idoli! Ero nel...1492...se ricordo bene...! 
Finalmente ci hanno fatti rientrare nelle “cuccette” (boh!) per un turno di riposo, ed io ho cominciato a realizzare cos’era successo, finchè non mi sono addormentato, più tranquillo, ricominciando a sognare... 
...la volta dopo mi ha svegliato il freddo, e l’abbaiare di un cane: dovevo essere a casa, con il mio termosifone perennemente rotto ed il vicino di sopra che non si decide a dar via il suo cocker! Mi sono stiracchiato, mi sono rizzato a sedere, e ho dato una testata contro una lampada a petrolio appesa sopra di me! Imprecando, sono sceso dal letto e... 
non ci sono riuscito! Ero...già per terra, in un sacco a pelo! No! Di nuovo! E adesso? Mi sono alzato, a fatica perchè ero imbacuccato fino all’inverosimile, sono uscito uasi carponi dall’ ambiente ristrettissimo in cui mi trovavo e...ho visto tutto bianco intorno a me! Chilometri e chilometri di distesa bianca , e non era nemmeno neve, ma ghiaccio! 
Ero al Polo! Il posto da cui ero uscito era una tenda, completamente rossa, il che mi ha fatto sorgere qualche sospetto, che è diventato tragica realtà quando ho visto un cagnolino venirmi incontro scodinzolando: ho controllato la medaglietta:”TITINA”! No! Non era possibile! Amundsen! 
Beh, per farla breve, quel fatto incredibile, quel salto nel tempo e nello spazio mi è successo di farlo molte altre volte!, e pian piano ho capito come fosse possibile. Era il letto! Sì, la slitta, la gondola, come volte chiamarla! Mi ci addormentavo, sognavo di essere in un posto, in un’epoca, e hop!, mi ci risvegliavo in mezzo! Completamente calato nella parte che la mia fantasia mi aveva preparato! Ed era tutto assolutamente reale, io c’ero proprio! 
Naturalmente ho studiato a fondo il letto, e sono arrivato ad una conclusione: la mia prima impressione era giusta, quell’affare non è antico, ma modernissimo, futuribile, forse addirittura del futuro! Infatti, il materiale di cui è fatto non è legno d’ebano come sembrava, ma una specie di lega metallica che si modifica assumendo le forme e le consistenze più svariate, a seconda delle situazioni: un’amaca, un sacco a pelo, un pagliericcio; la sua forma originale sembra però essere quella della “gondola”. E in effetti, a pensarci la sua sagoma può ricordare una specie di astronave, o comunque un veicolo. Ecco, io credo che sia, come si dice nei films di fantascienza, una capsula spazio-temporale, alimentata ad impusi onirici: parte quando si entra in fase REM. 
...Io però continuo a considerarlo in cimelio magico, un oggetto d’arte tribale, mi piace di più, lo rende più vivo... 
Probabilmente il suo costruttore, uno scienziato del futuro (o magari un alieno) l’ha perduta, o è morto. Si, perchè le situazioni che si vivono, essendo reali, non permettono il “ritorno a casa” se si viene uccisi. In effetti è un po’ pericoloso, ma volete mettere! E’ il mio sogno realizzato! Ho anche imparato ad usarlo: la parte più difficile è stata riuscire a controllare o perlomeno a dirigere a grandi linee i miei sogni in una certa direzione, ma di solito mi basta concentrarmi e pensare intensamente a qualcosa prima di addormentarmi. Per tornare a casa, basta pensarci. E se voglio restare dove mi trovo per qualche tempo, devo solo dormire da qualche altra parte. 
Ragazzi, è meraviglioso! Sapeste che esperienze! Sono stato in Africa con Livingstone, in Giappone fra i Samurai, in Francia al fianco di Robespierre...e per uno sbaglio di persona, veramente, lì ho avuto qualche problema... 
mi hanno preso per Danton...Ho cavalcato al fianco di Geronimo, e sapeste che male al culo, quei selvaggi non usavano nè selle nè niente, e poi fumavano una roba da far venire le allucinazioni... 
Beh. per me ora è tardi, devo andare a...si, diciamo dormire, a dir la verità sono un po’ preoccupato perchè stasera ho visto un film su Atlantide, ed un documentario sui campi di concentramento, perciò... 
Per ora arrivederci, spero... 
 

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